Mario D’Amato è nato nel 1946 a Marina di Pisciotta (Sa). Vive e opera a Val della Torre (To). Dopo aver conseguito la Maturità Magistrale, si è iscritto alla facoltà di Giurisprudenza di Torino. Nel 1973, ha pubblicato la raccolta di poesie Gabbiano, edita a Roma da Gabrieli. Nel 1977, in seguito all’improvvisa morte del fratello maggiore Nello, pittore, ha interrotto gli studi universitari e si è dedicato alla pittura, esponendo in mostre collettive e personali; nello stesso anno, è stato ammesso allo SNASA (Sindacato Nazionale Autonomo Scrittori e Autori). Nel 1980, ha dato alle stampe il secondo volume di poesie Dadi a caso, con i tipi della torinese Pedrini e si è rivolto alla grafica seriale, aderendo anche alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino. Nel 1984, ha incominciato a scolpire. Nel 1986, è stato accettato in qualità di socio artista dal Circolo degli Artisti e nel 1988 dal Piemonte Artistico Culturale di Torino. Nel 2000, ha titolato I canti del silenzio, il terzo volume di liriche, edizioni ota oi, Torino. Nel 2003, è entrato a far parte dell’Associazione Artistico-Culturale Arte Totale di Settimo Torinese (To) e nel 2013 è stato eletto presidente. Infine, nel 2007, è diventato socio dell’ARCA (Associazione di Ricerca Culturale Artistica) di Roma. Nel 2004, si è avvicinato alla ceramica. Nel 2009, lo Studio Otamad si è trasferito a Val della Torre (To). Nel 2018, ha allestito una mostra antologica, esponendo le tematiche sviluppate nell’arco di 40 anni di attività, patrocinata dalla Città Metropolitana di Torino e dal Comune della Città di Collegno (To), nella Sala delle Arti nella Certosa Reale di Collegno (To). Nel 2021, ha pubblicato le poesie Parole di commiato, prefazione di Franco Monetti, Roberto Chiaramonte Editore, Torino.
Il linguaggio pittorico di Mario D’Amato fa riferimento a una matrice simbolico-surrealista, a cui ha fatto seguito un’intenzione più dichiaratamente figurativa. Dai metodi pittorici informali degli anni Ottanta è passato, negli anni Novanta, a caratterizzare la sua pittura con metafore archeologiche e ispirazione naturalistica. La realtà fitomorfica è infatti la nuova tematica che ha esposto al Piemonte Artistico Culturale di Torino: un originale percorso ispirato a frammenti organici, quali cortecce e tronchi d’albero, manipolati con vernici e altri materiali. “Il suo studio”, ha scritto Lucio Cabutti, “è un teatro delle opere dove l’immagine della creatività si organizza scrupolosamente, si ripartisce in zone e si visualizza con impegno nei termini di una stanza paradigmatica, anche se in parte involontaria. C’è l’area delle memorie familiari, quella degli oggetti di costume e quella dei ricordi strani; il cavalletto, ma anche il tavolo da disegno e il leggìo da musica per le scritture visive; gli strumenti più meticolosamente sistemati e una certa scenografica informalità che si ritrova nelle opere; la biblioteca e, appunto, opere di vari periodi che riflettono la formazione sul versante simmetrico della poetica. Visitato e visto dal vero, il suo studio ne è scenario e deposito e luogo prioritario di lavoro: dove la poetica si tramuta in ambiente, e l’investimento emotivo e teorico della sperimentazione artistica in studio dal vero” (http://www.arpnet.it/aperto/artisti/damdel.htm).