Sergio Aiello si è formato con Romano Campagnoli e Giacomo Soffiantino. La prima personale è del 1994 e si è intitolata Nudo, con esposizione di disegni e acquerelli. L’incontro con il maestro Alfredo Pirri è fondamentale e nel 1997 ha iniziato a dipingere il paesaggio utilizzando grandi superfici: è il periodo del ciclo degli Orizzonti, di Astrazione di Paesaggio, delle tele Latinamericane e di Visioni Contemporanee, che testimoniano una continua e rigorosa sperimentazione istintuale-analitica, volta a concretizzare su tela la visione dell’intorno-interno. Il colore e il bianco e nero sono trattati senza soluzione di continuità lungo la via della sperimentazione continua che connota la propria pittura. Il 2011 è l’anno delle tele della serie Paesaggi su fondo bianco, nel 2012 ha preso forma il progetto Guadando Il Nero, per continuare con i Paesaggi Complementari. Con il ciclo intitolato Guardando il Cielo, l’artista inizia un nuovo percorso, alla ricerca di nuove aree liriche e nuove visioni prospettiche. Dal 2019 in poi, compaiono Metamorfo e dal 2021 So Far, So Close/Così Vicino, Così Lontano, “una riflessione visiva sulle dimensioni spaziali/temporali”, come ha scritto lo stesso artista sui contenuti ideali della propria ricerca artistica, “una pura ricerca sullo spazio-tela, con l’intento di rendere visibile l’infinito di fronte a noi, per mezzo di un orizzonte senza fine”, giungendo al “suo sdoppiamento agli estremi” del quadro. “È un cambio di visione, di consapevolezza: tra le due prospettive c’è la nostra vita, quello spazio di libertà dove cerchiamo il senso della vita, il suo infinito. L’infinito che conferma la nostra finitezza. È l’Arte che si fa pettine a cui viene il ‘nodo’ dell’infinito, rendendolo percepibile, così vicino così lontano”.
Sui lavori di Sergio Aiello esposti nella personale intitolata Volgo lo sguardo, allestita dal 3 al 19 marzo 2017 all’Ecomuseo del Freidano a Settimo Torinese, si sono espressi sia Claudio Lorenzoni che Gianfranco Schialvino: Lorenzoni ha ritenuto di poter dire che “sono un ‘m’illumino d’immenso’. Nel loro minimalismo pittorico si cela un mondo da scoprire. […] Un universo territoriale, quello, fatto di calanchi. Il bianco calcareo che fa l’amore col cielo blu agostano. Nei suoi quadri io mi immergo senza prendere fiato perché morirci dentro sarebbe un bel morire. In uno sguardo al cielo potrei respirare l’immortalità che tutti noi vorremmo e un artista ancor di più”; e Schialvino ha affermato che “Aiello procede per sintesi, per concentrazione, strato dopo strato, addensando al nucleo, amalgamando ai margini, diluendo ai confini, cercando la dissoluzione, rincorrendo l’anima della figura (di una pedissequa imitazione) ormai scomparsa nell’orizzonte, sublimata in nome di una prospettiva più ampia in cui è volata per rifugiarvisi dopo essere stata scacciata dalla scena. Sono le macchie di colore che disegnano il suo paesaggio, mescolate, sovrapposte, graffiate”. Per una più recente personale di Aiello, ospitata tra ottobre e novembre 2021 alla Galleria del Museo d’Arte Urbana di Torino, in concomitanza con quella dell’Atelier Insieme, entrambe accomunate dal titolo |RE|SPIRO, Daniele D’Antonio si è soffermato sulla specifica caratteristica della “percezione di atmosfere velate, che sebbene non rientranti nel figurativo in senso stretto, avvicinano a certi concetti propri di certa arte orientale, dove il non detto è presente e protagonista e regge l’opera nel suo complesso, in virtù di questa sua presenza implicita, ma essenziale”.