Galleria

en plein air

Self- portray

Paola Mongelli

Stampa fotografica digitale su carta cotone

20 x 20 cm

2020

 

Paola Mongelli è nata a Torino nel 1972. È artista visiva e fotografa. Negli anni Novanta si è laureata in Scenografia all’Accademia Albertina di Belle Arti e ha studiato fotografia con Giorgio Avigdor e con Enzo Obiso. Ha intrapreso una ricerca attraverso il bianco e nero in cui ha sperimentato in modo personale le tecniche di stampa fine-art in camera oscura, dando vita ad opere in tiratura limitata o unica. Nel 1998, ha iniziato ad esporre le sue fotografie, che oggi sono parte di numerose collezioni. Con i suoi soggetti instaura un dialogo fatto di empatia e contemplazione. Ne è emersa una riflessione sulla condizione umana che evoca corrispondenze tra l’individuo, la natura e i suoi elementi; l’esplorazione di sé e l’osservazione del mondo si fondono in un’unica esperienza. Parallelamente si è dedicata allo studio del ritratto, realizzandone moltissimi su commissione. L’attrazione verso la scrittura, in particolare per la poesia, l’ha portata a cercare nella parola scritta un’ulteriore fonte di ispirazione e una chiave spesso decisiva per il concepimento delle sue immagini. Molteplici, infatti, i rapporti di amicizia e collaborazione con poeti e scrittori, come con Dario Capello, autore del saggio Paola Mongelli. Della Visione inquieta (2009), con lo scrittore genovese Marco Ercolani, interlocutore e complice privilegiato nelle indagini sul tema del buio, con il drammaturgo e poeta Andrea Balzola e le scrittrici Graziella Bonansea e Lucetta Frisa. Nei lavori recenti, è giunta ad abbracciare la dimensione del colore, esprimendosi anche attraverso il disegno e la performance e privilegiando i temi legati al corpo, allo sguardo e alla natura. A partire dal 2008, ha condotto corsi e seminari in materia di fotografia e di educazione alla visione (Istituto Europeo di Design, Collegio Universitario Einaudi, Centro Interculturale di Torino, Centro Agape). Insieme all’artista Petra Probst, cura dal 2010 il progetto artistico-formativo Necessità del volto. Nel settore pubblicitario, ha collaborato dal 2009 con l’Agenzia Anna Contestabile, nello stesso anno il marchio Knorr ha selezionato alcuni ritratti del ciclo “Mio padre è un cuoco” per promuovere i suoi prodotti. Collaborazioni recenti con le gallerie: Paolo Tonin e CSA Farm (Torino), Unimediamodern e VisionQuest (Genova), Losano (Pinerolo), NegPos (Nîmes). Lo psichiatra e scrittore Marco Ercolani, a commento dell’esposizione di Paola Mongelli, Il bianco e il nero, organizzata tra marzo e giugno 2014 presso la Galleria Civica d’Arte Contemporanea Filippo Scroppo di Torre Pellice (To) e che ha radunato “la prima antologica fotografica dell’autrice torinese”, ha colto nella “necessità dell’incursione nell’ignoto […] una delle cifre del lavoro ‘classico’ di Mongelli. Queste foto ci parlano sì degli sprofondamenti della psiche nel bianco e nel nero dei propri labirinti ma 

anche e soprattutto delle tenaci resistenze che l’occhio trova, determina, impone a se stesso. I veli-vele che oscillano dai terrazzi, i nodosi tronchi dei platani, gli occhi-crateri degli alberi, i solenni e complicati altari dei rampicanti, la ‘grana’ scura e dolente degli autoritratti, le mattonelle vive e potenti di interni privi di esseri umani, tutto ci parla delle risonanze del dentro e del fuori che questa fotografia, modellata e lavorata in camera oscura, quasi ‘dipinta’ nelle sue ombre e nelle sue luci, sa far scaturire nello spettatore. Osservare i ‘cicli’ di questa opera è osservare il lavoro strenuo di un’anima che ha saputo costruire dentro l’oscillazione delle emozioni una sua austera intensità, un rigore compositivo che ha permesso a quelle emozioni di svilupparsi e non di dissolversi, di essere non vaghe impressioni d’ombra e di luce ma composte e perentorie tracce ancorate al visibile per il bisogno di esprimere l’invisibile” (cfr.: https://cartesensibili.wordpress.com/2014/04/23/il-bianco-e-il-nero-profondita-e-riverberi-nel-percorso-di-paola-mongelli-marco-ercolani/). La mi sembra una delle cifre del lavoro “classico” di Mongelli. Queste foto ci parlano sì degli sprofondamenti della psiche nel bianco e nel nero dei propri labirinti ma anche e soprattutto delle tenaci resistenze che l’occhio trova, determina, impone a se stesso. I veli-vele che oscillano dai terrazzi, i nodosi tronchi dei platani, gli occhi-crateri degli alberi, i solenni e complicati altari dei rampicanti, la “grana” scura e dolente degli autoritratti, le mattonelle vive e potenti di interni privi di esseri umani, tutto ci parla delle risonanze del dentro e del fuori che questa fotografia, modellata e lavorata in camera oscura, quasi “dipinta” nelle sue ombre e nelle sue luci, sa far scaturire nello spettatore. Osservare i “cicli” di questa opera è osservare il lavoro strenuo di un’anima che ha saputo costruire dentro l’oscillazione delle emozioni una sua austera intensità, un rigore compositivo che ha permesso a quelle emozioni di svilupparsi e non di dissolversi, di essere non vaghe impressioni d’ombra e di luce ma composte e perentorie tracce ancorate al visibile per il bisogno di esprimere l’invisibile. Mongelli si serve di un bianco e nero ottenuto con tecniche fotografiche tradizionali, in modo da costruire un dialogo con le cose fatto di empatia dolorosa, riflessione sulla condizione umana, tra l’essere e il paesaggio, in una sinestesia dove esplorazione di sé e osservazione del mondo finiscono per sovrapporsi, una entrando nell’altro. Stimolo centrale sembra la volontà di rivelare la natura nascosta delle cose, di mettere a fuoco l’anima del mondo visto e fotografato non attraverso un’astrazione mentale ma nella molteplicità delle sue forme, nella singolarità dell’occhio vedente.