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Senza titolo

Marcello Leone

Tecnica mista su juta

20 x 20 cm

2022

Marcello Leone è nato in un piccolo paese del Salento (Guagnano/Le) nel 1950. Ha conseguito il diploma dell’Accademia di Belle Arti a Roma nel 1973. La sua passione per l’arte e ricerca artistica è iniziata negli anni Settanta con particolare attenzione all’astrattismo lirico. Ha sperimentato con entusiasmo e ha realizzato per anni lavori che hanno come elemento comune un rigoroso impianto costruttivo e ritmico in relazione tra segno, colore e spazio. Negli anni successivi, ha spostato la sua ricerca sull’uso di materiale povero, come carta, ferro, cotone, pigmenti e giornali, messi insieme e assemblati con gioco e ironia, poeticamente legati “dalla polvere turchese”. Da circa dieci anni, dipinge su juta, preparata con l’imprimitura adeguata di gesso e colla, su grandi dimensioni e senza telaio. Tecnicamente il “tempo” di esecuzione è lento; richiede un paziente ordito di segni e di sovrapposizione cromatica. La superficie che emerge è animata dalla ripetizione di gesti e segni continui che danno vita ad una fitta trama; la luce e le ombre creano uno spazio in espansione e in relazione all’ambiente circostante. “L’artista”, ha asserito Alberto Veca nel 2013, “sembra concepire il suo telo di juta, irrigidito dalla preparazione e dal medio con cui il colore viene impastato, come una sorta di ‘Kakemono’ giapponese, prediligendo la figura del rettangolo allungato tanto nelle grandi come nelle medie o piccole dimensioni. La direzione ‘alto/basso’ è lo spontaneo punto inaugurale”, così “fondo e figura sono realizzati col medesimo processo operativo, quella dell’adiacenza di una fitta trama di segni che entrano in gara con la stessa trama del materiale di supporto.

Una ‘disseminazione’ di tracce cromatiche realizzate a distanza ravvicinata, quasi un contatto fisico con la superficie del dipinto per poi, un intervallo, raggiungere una distanza che permette di cogliere l’immagine complessiva, controllarne l’effetto in via di definizione. Sulla superficie discontinua della juta, che lascia trasparire anche il vuoto dell’intreccio si bilancia un’azione/visione calligrafica, […] e una contemplazione successiva, di un andamento narrativo che percorre il campo. Perché, sia pure con un indice di leggibilità abbassato, una composizione emerge, quindi in qualche modo un racconto sia pure operato per contrasti cromatici, dove l’emergere di figure e del loro sintattico disporsi sulla superficie, sfugge alla immediata evidenza per richiedere una più lettura attenta della superficie, un esercizio di presa visione analoga a quella compiuta dall’artista nel realizzare l’opera. Da una immagine immediatamente indistinta si passa allora a una seconda decifrazione in cui emergono ‘parole intervalli’ e – si accetta la metafora perché in fondo si parla di scrittura -, voci e silenzi, o meglio echi che sostengono e fanno da controcanto all’emergere di aggregazioni di tracce che alludono figura, disponendosi nel campo in modo da costruire le tracce per un percorso, una mappa dalle coordinate incognite, colte in un suo frammento ma pensabili come estendibili all’infinito. Allora si può parlare di andamenti centrifughi o centripeti, evidentemente rispetto al ritaglio individuato, a una partitura musicale in cui il ‘continuo’ del fondo si mescola con la singolarità della voce solista” (https://marcelloleone.wordpress.com/2013/03/02/della-tessitura/).