Pino Mantovani è nato vicino a Brescia nel 1943. Ha studiato a Messina e Torino, diplomandosi in Pittura all’Accademia Albertina di Belle Arti e laureandosi in Lettere Moderne nel 1967. Fa e chiacchiera di pittura e delle altre arti visive, anche in forma di racconto. Come pittore – si è sempre tenuto alla pittura in senso tradizionale, semmai rifiutando la distinzione di figurativo e astratto – ha esordito nel ’64. Sono del ’71 e ‘72 le prime personali. Ha insegnato Italiano e Storia dell’Arte al Liceo Artistico e Critica d’Arte all’Accademia Albertina. L’ultima mostra curata insieme a Luca Motto è Albino Galvano. Fare, pensare, vivere la pittura, allestita tra aprile e giugno del 2021, in occasione del trentennale dalla scomparsa, alla Fondazione Amendola/Levi di Torino. Tra le ultime personali, sono da segnalare: tra giugno e luglio 2018, Danae o della Pittura alla Galleria Paolo Tonin – Arte contemporanea di Torino; tra luglio e settembre 2021, Il doppio tra ritratti e autoritratti, a cura di Andrea Balzola e Luca Motto, presso la Civica Galleria d’arte contemporanea Filippo Scroppo di Torre Pellice (To); nel settembre 2022, Attese nella Sala Mostre della Fondazione Giorgio Amendola e dell’Associazione Lucana Carlo Levi di Torino, accolta poi nell’ottobre 2022 presso la Galleria Gian Francesco Grasso di Chiavari (Ge) e presentata da Francesco Bruzzo e Eugenia Galardi. “Pino Mantovani”, ha scritto Andrea Balzola “è un funambolo della pittura”, che non fa che procedere “con sicurezza su un filo sottile, linea di frontiera, di separazione e nello stesso tempo d’incontro, fra astrazione e figura”. La sua è pittura “colta, o meglio coltivata, non per concetti e citazioni ma mediante esperienza consumata direttamente nel fare e disfare, nell’ingarbugliare e nel dipanare, nel mettere e togliere sulla tela”.
Ed Ettore Ghinassi, commentando a sua volta la personale da Tonin, coglie il punto cardine dell’estetica pittorica di Pino, ovvero il suo essere caratterialmente “rarefatta, essenziale”, priva “di indizi di profondità”, così da annullare “quasi del tutto il rapporto figura-sfondo. Il grande rettangolo di tela che la ospita e che tinge l’aria di colore – per esalazione, sublimazione di pigmenti – sembra volerla risucchiare, vincerne l’ostinazione a resistere sul limite dell’assorbenza, per vivere di vita propria, non essendo mai estinto il vincolo con la propria ascendenza astratta” (https://www.artribune.com/mostre-evento-arte/pino-mantovani-danae-o-della-pittura/). “Mi trovo ad avere quasi ottant’anni, non so come, improvvisamente”, ha confessato da ultimo lo stesso Mantovani, e nel volere adesso “tirare le fila e dare un senso unitario alle varie esperienze – mentre il giudizio degli altri, perfino degli amici, mi mette alle strette – riconosco anzi affermo d’essere restato un dilettante. Devo dire che questa condizione a volte mi deprime come la prova di un fallimento, a volte mi inorgoglisce: il dilettantismo come metodo, che nella modernità trova una giustificazione e una funzione antispecialistica. […] Non sono riuscito o non ho voluto diventare un professionista; alla fine mi accetto per quel che sono: Pino Mantovani, pittore che scrive, scrittore che dipinge, un po’ timido un po’ aggressivo, a volte piuttosto oscuro anche contradditorio; affascinato dalla sintetica formula liciniana ‘erotico, eretico, errante’, come dai manierismi storici, quelli almeno che mirano non una meta-pittura ma una iper-pittura” (https://fondazioneamendola.it/mostra-darte-di-pino-mantovani-attese/).